martedì 2 ottobre 2012



Criminalità e percezione di insicurezza del cittadino  nella società italiana.

 Parla Andrea Feltri, esperto internazionale tra i massimi studiosi di criminologia






Il 24 marzo 2011 l'Istat ha pubblicato i dati dei delitti denunciati dalle forze di Polizia all'autorità giudiziaria nell'anno 2009, con un numero di 2.629.831.Nell'anno 2010 si sono registrati 2.621.019 delitti (4.333,5 per centomila abitanti), con un piccolo decremento (-0,3 per cento) rispetto all'anno precedente.I livelli di delittuosità, in ascesa fino al 1991, hanno avuto successivamente un andamento altalenante nel tempo, ma con livelli sostanzialmente stabili (dati Istat). I dati confermano inoltre un andamento decrescente iniziato nel 2008.Tutto ciò sembra essere incoraggiante,ma  allo stato dei fatti,in molte città italiane si grida all’allarme criminalità. Le vittime di crimini violenti sono aumentate a dismisura.  Nell’anno 2011 solo nella citta’ di Roma vi sono stati  34 omicidi.
Con l’occasione abbiamo avuto il piacere di sentire il parere di uno dei massimi esperti criminologi a livello internazionale, nonche’ autore di numerose pubblicazioni  scientifiche,  il Dottor Andrea Feltri.

-         Esimio dottore in considerazione dei dati riportati a dir poco “allarmanti” sembrerebbe che tra i numerosi crimini quello più efferato o che spaventa di piu il cittadino sia l’omicidio. Ci potrebbe dare maggiori delucidazioni in merito?

  L’omicidio, ovvero l’atto di privare del bene più prezioso(la vita) un essere umano, è storicamente un campo di studio affascinante e al tempo stesso inquietante. L’omicidio, tra i vari comportamenti criminali, è quello che genera, sicuramente, maggior allarme sociale.  Psicologi, psichiatri, criminologi, giuristi e sociologi si adoperano nello studio fenomenologico e causale della condotta omicida. Purtroppo la  grossa difficoltà riscontrata negli studi sugli omicidi  e nella loro classificazione, stà  proprio  nella grande varietà  di situazioni in cui questo tipo di crimine può essere perpetrato.
 Pertanto, essendo comportamenti omicidiari assai diversi tra loro, una serie di problematiche si presentano all’esperto del fenomeno in questione : la  motivazione o meno dell’atto criminoso , la diagnosi di una sua eventuale infermità di mente, la valutazione di una sua responsabilità ed imputabilità penale,  e il suo trattamento.

- Esistono tipologie diverse di omicidi?
 Certamente si.  Di massima  la classificazione degli omicidi è rappresentata dal conteggio del numero delle vittime per singolo atto omicidiario.  Si parla, infatti, di omicidio singolo e omicidio multiplo. Nel primo caso, l’autore  del delitto effettua l’omicidio, in modo casuale o premeditato, di una singola vittima. Mentre nel caso in cui lo stesso esegue un altro omicidio a distanza di tempo, per poterlo considerare ancora come omicidio singolo, non devono essere presenti stesse caratteristiche e nessi di tipo psicologici, di movente,  con la prima uccisione.


-         Si sente spesso parlare di Modus Operandi nelle commissioni dei crimini e di serialità negli omicidi. Che caratteristiche possiedono?
In primis è bene dare una definizione del  modus operandi.  Quest’ultima  indica un modo di agire, un insieme di azioni che servono per compiere un determinato crimine. Analizzare il modus operandi è indispensabile per vari motivi:
1)    permette di collegare i crimini; 2) consente di identificare un sospetto confrontando un modus operandi di un criminale noto con il modus operandi connesso ad un caso irrisolto; 3) cancellare una persona dalla lista dei sospettati.
 Il modus operandi non è stabile nel tempo,come lo è invece “la signature” ovvero  la firma che possiamo trovare  presente nei crimini seriali.  Nel modus operandi il criminale può acquisire esperienza traendo massimo beneficio dal reato, minimizzando i rischi di essere identificato e quindi catturato. Il modus operandi fornisce, sicuramente, delle informazioni considerevoli circa il criminale, come le sue abilità, le sue conoscenze criminali o meno, l’eventuale relazione con la vittima e il grado di familiarità con la scena del crimine.
Per quanto  concerne, invece, gli omicidi cosiddetti seriali  ovvero l’uccisione consecutiva di più vittime, è stato considerato fino agli anni ’50 un omicidio di massa. Solo dopo quel periodo gli studiosi di criminologia lo hanno differenziato e studiato più attentamente. Nel 1988 il “National Institute of Justice” statunitense propose una prima definizione di omicidio seriale, vale a dire una serie di due o più omicidi, commessi come eventi separati, ad opera di un singolo autore, con le motivazioni ricercate nelle dinamiche psicologiche dell’autore del crimine.
Nel 1992 il Crime Classification Manual di Douglas, Burgess e Ressler fornisce una seconda definizione del serial murder:  Tre o più eventi omicidiari, commessi in luoghi differenti, separati da un intervallo di “raffreddamento” emozionale dell’omicida (emotional cooling time ).

- Dottor Feltri, vorremmo sapere il processo psicologico che si avvia nella mente del carnefice prima e durante la fase  di attacco, e nello specifico  dei raptus nella loro “pazza lucidità”.
Numerosi crimini violenti, specie se maturati in ambiente intrafamiliare o domestico, vengono solitamente considerati opera di un soggetto che ha agito in preda ad un raptus (definiti anche come reati privi di movente).
In realtà molti degli omicidi che non comportano evidenti vantaggi utilitaristici per l’assassino (privi di movente), portano quasi sempre dei vantaggi per l’autore, i quali vanno analizzati all’interno di dinamiche psicologiche, molto profonde e talvolta segnate dalla psicopatologia.

In questi casi è quindi più corretto parlare di motivazione omicidiaria anziché di movente poiché la spinta endogena, il guadagno ottenibile, non è di natura materiale, ma di tipo psicologico e quindi espressivo.
Anche il concetto di raptus risulta in quest’ottica a mio avviso poco adatto alla spiegazione degli omicidi, sia sotto l’aspetto criminologico che sotto quello medico-psichiatrico.
La malattia mentale, come ogni malattia, ha infatti un suo corso, ha suoi sintomi, i suoi segnali, le sue crisi acute.

Ipotizzare l’esistenza di un soggetto assolutamente sano, che impazzisce improvvisamente commettendo un orribile delitto in preda ad un non meglio precisato discontrollo episodico della coscienza e che subito dopo ritorna allo stato antecedente di assoluta normalità e razionalità, significa ipotizzare qualcosa che, pur se di indubbia praticità processuale (specie difensiva), appare assolutamente stridente con le conoscenze medico-psichiatriche correnti.




-         Dottor Feltri quali sono le informazioni utili all’analisi criminologica dell’omicidio?

Le informazioni utili sono relative sostanzialmente a quattro tipi di fonti: innanzitutto la scena del crimine. Tra gli elementi contratti sulla scena del delitto dagli investigatori, con le tecniche di investigazione scientifica e le investigazioni tradizionali, sarebbe opportuno per il Criminologo estrapolare gli elementi che assumono rilevanza nell’interpretazione psicologica del delitto. In particolare lo stato dell’ambiente dove è avvenuto l’omicidio, la tecnica di uccisione utilizzata, i riscontri medico-legali sulle lesioni e gli altri segni dell’interazione tra autore e vittima; l’ambiente sociale di provenienza dell’autore, attraverso l’osservazione del contesto e la raccolta di informazioni tra parenti e conoscenti dell’autore del delitto; e naturalmente ogni tipo di informazioni inerenti la vittima che dovrebbero essere ricercate attraverso colloqui con familiari e conoscenti atti a evidenziare abitudini ed elementi caratteriali nonché aspetti relativi all’eventuale rapporto pregresso con l’autore.


-Molti omicidi vengono attribuiti al ‘’raptus di follia’’.  Ma il raptus di follia è un termine abusato, una trovata giornalistica o il risultato di un pensiero intrusivo?

Credo che in parte si debba considerare un termine abusato, in parte, invece, credo si debba trovare una definizione più completa. Ovvero, dietro la parola raptus e dietro ciò che in realtà lo determina si nascondono vari processi psicologici. In pratica, dietro l’autore di un’azione violenta che noi definiamo raptus, esiste sempre un percorso che fa l’autore stesso.Il raptus è la risposta immediata ed incoercibile ad un pensiero intrusivo, ovvero quel pensiero che irrompe tra altri pensieri ed immagini in atto in quel momento, e getta scompiglio nell’organizzazione mentale del soggetto, altera la percezione della realtà e non può essere controllato.



-         Perché ci viene più facile pensare che l’autore di un omicidio sia un pazzo?

Considerare chi compie un crimine orrendo come un pazzo, diverso da tutti noi, consente alla collettività di prendere le distanze da comportamenti inaccettabili sul piano sociale, controllando ‘’fantasmi’’ e ansie latenti. Cosa ancor più importante è che la ricerca criminologica, ha dimostrato che il malato psichico non compie più crimini del soggetto cosìddetto ‘’normale’’ e che la maggior parte dei reati commessi da pazienti psichiatrici sono di scarsa gravità, come atti osceni, danneggiamenti di oggetti.


                                                                                Antonella Marchisella

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