Criminalità e percezione di insicurezza del cittadino nella società italiana.
Parla
Andrea Feltri, esperto internazionale tra i massimi studiosi di criminologia
Il 24 marzo 2011 l'Istat ha pubblicato i dati dei delitti
denunciati dalle forze di Polizia all'autorità giudiziaria nell'anno 2009, con
un numero di 2.629.831.Nell'anno 2010 si sono registrati 2.621.019 delitti
(4.333,5 per centomila abitanti), con un piccolo decremento (-0,3 per cento)
rispetto all'anno precedente.I livelli di delittuosità, in ascesa fino al 1991,
hanno avuto successivamente un andamento altalenante nel tempo, ma con livelli
sostanzialmente stabili (dati Istat). I dati confermano inoltre un andamento
decrescente iniziato nel 2008.Tutto ciò sembra essere incoraggiante,ma allo stato dei fatti,in molte città italiane si
grida all’allarme criminalità. Le vittime di crimini violenti sono aumentate a
dismisura. Nell’anno 2011 solo nella
citta’ di Roma vi sono stati 34 omicidi.
Con l’occasione abbiamo avuto il piacere di sentire
il parere di uno dei massimi esperti
criminologi a livello internazionale, nonche’ autore di numerose pubblicazioni scientifiche, il Dottor Andrea Feltri.
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Esimio
dottore in considerazione dei dati riportati a dir poco “allarmanti” sembrerebbe
che tra i numerosi crimini quello più efferato o che spaventa di piu il
cittadino sia l’omicidio. Ci potrebbe dare maggiori delucidazioni in merito?
L’omicidio, ovvero l’atto di privare del bene più prezioso(la
vita) un essere umano, è storicamente un campo di studio affascinante e al
tempo stesso inquietante. L’omicidio, tra i vari comportamenti criminali, è
quello che genera, sicuramente, maggior allarme sociale. Psicologi, psichiatri, criminologi, giuristi e
sociologi si adoperano nello studio fenomenologico e causale della condotta
omicida. Purtroppo la grossa difficoltà
riscontrata negli studi sugli omicidi e
nella loro classificazione, stà proprio nella grande varietà di situazioni in cui questo tipo di crimine
può essere perpetrato.
Pertanto,
essendo comportamenti omicidiari assai diversi tra loro, una serie di
problematiche si presentano all’esperto del fenomeno in questione : la motivazione o meno dell’atto criminoso , la
diagnosi di una sua eventuale infermità di mente, la valutazione di una sua
responsabilità ed imputabilità penale, e
il suo trattamento.
- Esistono tipologie
diverse di omicidi?
Certamente
si. Di massima la classificazione degli omicidi è
rappresentata dal conteggio del numero delle vittime per singolo atto omicidiario.
Si parla, infatti, di omicidio singolo e omicidio multiplo. Nel primo caso,
l’autore del delitto effettua
l’omicidio, in modo casuale o premeditato, di una singola vittima. Mentre nel
caso in cui lo stesso esegue un altro omicidio a distanza di tempo, per poterlo
considerare ancora come omicidio singolo, non devono essere presenti stesse
caratteristiche e nessi di tipo psicologici, di movente, con la prima uccisione.
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Si
sente spesso parlare di Modus Operandi nelle commissioni dei crimini e di serialità
negli omicidi. Che caratteristiche possiedono?
In primis è bene
dare una definizione del modus
operandi. Quest’ultima indica un modo di agire, un insieme di azioni
che servono per compiere un determinato crimine. Analizzare il modus operandi è
indispensabile per vari motivi:
1)
permette di collegare i crimini; 2) consente di
identificare un sospetto confrontando un modus operandi di un criminale noto
con il modus operandi connesso ad un caso irrisolto; 3) cancellare una persona
dalla lista dei sospettati.
Il modus
operandi non è stabile nel tempo,come lo è invece “la signature” ovvero la firma che possiamo trovare presente nei crimini seriali. Nel modus operandi il criminale può acquisire
esperienza traendo massimo beneficio dal reato, minimizzando i rischi di essere
identificato e quindi catturato. Il modus operandi fornisce, sicuramente, delle
informazioni considerevoli circa il criminale, come le sue abilità, le sue
conoscenze criminali o meno, l’eventuale relazione con la vittima e il grado di
familiarità con la scena del crimine.
Per quanto concerne, invece, gli omicidi cosiddetti seriali ovvero l’uccisione consecutiva di più
vittime, è stato considerato fino agli anni ’50 un omicidio di massa. Solo dopo
quel periodo gli studiosi di criminologia lo hanno differenziato e studiato più
attentamente. Nel 1988 il “National Institute of Justice” statunitense propose
una prima definizione di omicidio seriale, vale a dire una serie di due o più
omicidi, commessi come eventi separati, ad opera di un singolo autore, con le
motivazioni ricercate nelle dinamiche psicologiche dell’autore del crimine.
Nel
1992 il Crime Classification Manual di Douglas, Burgess e Ressler fornisce una
seconda definizione del serial murder: Tre o più eventi omicidiari,
commessi in luoghi differenti, separati da un intervallo di “raffreddamento”
emozionale dell’omicida (emotional cooling time ).
- Dottor
Feltri, vorremmo sapere il processo psicologico che si avvia nella mente del
carnefice prima e durante la fase di
attacco, e nello specifico dei raptus
nella loro “pazza lucidità”.
Numerosi crimini violenti, specie
se maturati in ambiente intrafamiliare o domestico, vengono solitamente
considerati opera di un soggetto che ha agito in preda ad un raptus (definiti
anche come reati privi di movente). In realtà molti degli omicidi che non comportano evidenti vantaggi utilitaristici per l’assassino (privi di movente), portano quasi sempre dei vantaggi per l’autore, i quali vanno analizzati all’interno di dinamiche psicologiche, molto profonde e talvolta segnate dalla psicopatologia.
In questi casi è quindi più corretto parlare di motivazione omicidiaria anziché di movente poiché la spinta endogena, il guadagno ottenibile, non è di natura materiale, ma di tipo psicologico e quindi espressivo.
Anche il concetto di raptus risulta in quest’ottica a mio avviso poco adatto alla spiegazione degli omicidi, sia sotto l’aspetto criminologico che sotto quello medico-psichiatrico.
La malattia mentale, come ogni malattia, ha infatti un suo corso, ha suoi sintomi, i suoi segnali, le sue crisi acute.
Ipotizzare l’esistenza di un soggetto assolutamente sano, che
impazzisce improvvisamente commettendo un orribile delitto in preda ad un non
meglio precisato discontrollo episodico della coscienza e che subito dopo
ritorna allo stato antecedente di assoluta normalità e razionalità, significa
ipotizzare qualcosa che, pur se di indubbia praticità processuale (specie
difensiva), appare assolutamente stridente con le conoscenze
medico-psichiatriche correnti.
-
Dottor Feltri quali sono le informazioni utili all’analisi
criminologica dell’omicidio?
Le informazioni utili
sono relative sostanzialmente a quattro tipi di fonti: innanzitutto la scena
del crimine. Tra gli elementi contratti sulla scena del delitto dagli
investigatori, con le tecniche di investigazione scientifica e le
investigazioni tradizionali, sarebbe opportuno per il Criminologo estrapolare
gli elementi che assumono rilevanza nell’interpretazione psicologica del
delitto. In particolare lo stato dell’ambiente dove è avvenuto l’omicidio, la tecnica
di uccisione utilizzata, i riscontri medico-legali sulle lesioni e gli altri
segni dell’interazione tra autore e vittima; l’ambiente sociale di provenienza
dell’autore, attraverso l’osservazione del contesto e la raccolta di
informazioni tra parenti e conoscenti dell’autore del delitto; e naturalmente
ogni tipo di informazioni inerenti la vittima che dovrebbero essere ricercate
attraverso colloqui con familiari e conoscenti atti a evidenziare abitudini ed
elementi caratteriali nonché aspetti relativi all’eventuale rapporto pregresso
con l’autore.
-Molti omicidi vengono attribuiti al ‘’raptus di follia’’. Ma il raptus di follia è un termine abusato,
una trovata giornalistica o il risultato di un pensiero intrusivo?
Credo che in parte si
debba considerare un termine abusato, in parte, invece, credo si debba trovare
una definizione più completa. Ovvero, dietro la parola raptus e dietro ciò che
in realtà lo determina si nascondono vari processi psicologici. In pratica,
dietro l’autore di un’azione violenta che noi definiamo raptus, esiste sempre
un percorso che fa l’autore stesso.Il raptus è la risposta immediata ed
incoercibile ad un pensiero intrusivo, ovvero quel pensiero che irrompe tra
altri pensieri ed immagini in atto in quel momento, e getta scompiglio
nell’organizzazione mentale del soggetto, altera la percezione della realtà e
non può essere controllato.
-
Perché ci viene più facile pensare che l’autore di un omicidio sia
un pazzo?
Considerare chi compie
un crimine orrendo come un pazzo, diverso da tutti noi, consente alla
collettività di prendere le distanze da comportamenti inaccettabili sul piano
sociale, controllando ‘’fantasmi’’ e ansie latenti. Cosa ancor più importante è
che la ricerca criminologica, ha dimostrato che il malato psichico non compie
più crimini del soggetto cosìddetto ‘’normale’’ e che la maggior parte dei
reati commessi da pazienti psichiatrici sono di scarsa gravità, come atti
osceni, danneggiamenti di oggetti.
Antonella
Marchisella